Ang Bibliya

 

Daniel 4:8

pag-aaral

       

8 Alla fine si presentò davanti a me Daniele, che si chiama Beltsatsar, dal nome del mio dio, e nel quale è lo spirito degli dèi santi; e io gli raccontai il sogno:

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Arcana Coelestia # 728

Pag-aralan ang Sipi na ito

  
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728. Che tra sette giorni qui significa l'inizio della tentazione è evidente dal senso interiore di tutte le cose menzionate in questo passo, nel quale si tratta della tentazione dell'uomo chiamato Noè. Si tratta, in generale, sia della sua tentazione, sia della distruzione totale di quelli che appartennero alla più antica chiesa, i quali erano diventati come è stato descritto. Perciò tra sette giorni non significa solo l'inizio della tentazione, ma anche la fine della distruzione. Il motivo per cui queste cose sono intese con il periodo di sette giorni è che sette è un numero sacro, come è stato detto e mostrato prima (al versetto 2 di questo capitolo, e nel capitolo 4:15, 24; e ai paragrafi n. 84-87). Tra sette giorni indica la venuta del Signore nel mondo, e anche la sua venuta nella gloria, e ogni venuta del Signore in particolare. Si tratta di un numero caratteristico e rappresentativo di ogni venuta del Signore, che è il principio di coloro che devono essere rigenerati, ed è la fine di coloro che sono nella rovina. Così per l'uomo di questa chiesa, la venuta del Signore fu l'inizio della tentazione; perché quando l'uomo è tentato egli comincia a diventare un uomo nuovo e ad essere rigenerato. E allo stesso tempo era la fine di quelli della più antica chiesa che era diventata tale che non poteva non perire. Esattamente come quando il Signore è venuto nel mondo, la chiesa di quel tempo era nel suo ultimo stadio di rovina, e ne è sorta una nuova.

[2] Che queste si intendono per, tra sette giorni è evidente in Daniele:

Settanta settimane sono fissate sul tuo popolo, e sopra la tua città santa, per porre fine all'empietà, per confinare i peccati, e per purificarsi dall'iniquità, per introdursi nella giustizia dei secoli, per suggellare la visione e la profezia, e per ungere il santo dei santi. Sappiate dunque e comprendete che dalla proclamazione della ricostruzione di Gerusalemme, fino alla venuta del messia, il principe, passeranno sette settimane (Daniele 9:24-25)

Qui settanta settimane e sette settimane significano la stessa come sette giorni, vale a dire, la venuta del Signore. Ma qui c'è una profezia manifesta, i tempi sono ancora più religiosamente e accuratamente designati dai numeri settenari. È evidente quindi non solo che sette così associato a cadenze temporali, rappresenti la venuta del Signore, ma anche l'inizio di una nuova chiesa, rappresentata dalla unzione del santo dei santi, e dalla ricostruzione di Gerusalemme. E allo stesso tempo, l'ultima distruzione si intende con le parole settanta settimane son fissate sulla tua città santa, per porre fine all'empietà, per confinare i peccati.

[3] Così in altri luoghi della Parola, come in Ezechiele, dove egli dice di se stesso:

Sono giunto presso i deportati di Tel-Abib, che abitano in riva al fiume Kebar, e sono rimasto attonito in mezzo a loro sette giorni; e al termine dei sette giorni la parola del Signore mi fu rivolta (Ezechiele 3:15-16)

Anche qui sette giorni indicano l'inizio della venuta; perché dopo sette giorni, mentre egli sedeva tra coloro che erano in esilio, la parola del Signore gli fu rivolta.

Nello stesso profeta:

Essi seppelliranno Gog, per purificare il paese, per sette mesi; al termine dei sette mesi cominceranno le ricerche (Ezechiele 39:12, 14)

Anche qui sette indica il termine della distruzione, e l'inizio della venuta.

In Daniele:

Si muti il cuore di Nabucodonosor; un cuore di bestia gli sarà dato, e questa condizione durerà per sette tempi (Daniele 4:16, 25, 32)

volendo intendere in modo analogo, la fine della rovina e l'inizio di un uomo nuovo.

[4] Settant'anni di prigionia babilonese hanno lo stesso significato. I numeri settanta e sette hanno un eguale significato, siano essi sette giorni o sette anni o sette secoli che sono per l'appunto settant'anni. La distruzione era rappresentata dagli anni di prigionia; l'inizio di una nuova chiesa con la liberazione e la ricostruzione del tempio. Cose simili sono state rappresentate anche dal servizio di Giacobbe presso Labano, dove ricorrono queste parole:

Io ti servirò sette anni per Rachele; e Giacobbe servì sette anni per Rachele. E Labano disse, Porta a termine questa settimana, e io ti darò anche lei, per il servizio che tu mi renderai per altri sette anni. E Giacobbe fece così, e portò a termine quella settimana (Genesi 29:18, 20, 27-28)

Qui sette anni di servizio implicano lo stesso significato, e anche che dopo i giorni di sette anni giunge il matrimonio e la libertà. Questo periodo di sette anni, è stato chiamato settimana, come anche in Daniele.

[5] Lo stesso si intende anche con il comando di circondare la città di Gerico per sette volte e poi le mura sarebbero crollate; e si dice che:

Il settimo giorno si alzarono con l'alba e circondarono la città nello stesso modo per sette volte, e avvenne che alla settima volta i sette sacerdoti suonarono le sette trombe e il muro crollò (Giosuè 6:10-20)

Se queste cose non avessero un tale significato, il comando di circondare la città per sette volte, e che vi sarebbero stati sette sacerdoti e sette trombe, non sarebbe mai stato dato. Da questi e molti altri passi (come Giobbe 2:13; Rivelazione 15:1, 6-7; 21:9), è evidente che sette giorni significa l'inizio di una nuova chiesa, e la fine di quella vecchia. Il passo corrente, che tratta sia dell'uomo della chiesa chiamata Noè e della sua tentazione, sia dell'ultima posterità della più antica chiesa, che distrusse se stessa in sette giorni non può avere altro significato che l'inizio della tentazione di Noè e la fine o devastazione finale ed estinzione della più antica chiesa.

  
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Ang Bibliya

 

Joshua 5

pag-aaral

   

1 Or come tutti i re degli Amorei che erano di là dal Giordano verso occidente e tutti i re dei Cananei che erano presso il mare udirono che l’Eterno aveva asciugate le acque del Giordano davanti ai figliuoli d’Israele finché fossero passati, il loro cuore si strusse e non rimase più in loro alcun coraggio di fronte ai figliuoli d’Israele.

2 In quel tempo, l’Eterno disse a Giosuè: "Fatti de’ coltelli di pietra, e torna di nuovo a circoncidere i figliuoli d’Israele".

3 E Giosuè si fece de’ coltelli di pietra e circoncise i figliuoli d’Israele sul colle d’Araloth.

4 Questo fu il motivo per cui li circoncise: tutti i maschi del popolo uscito dall’Egitto, cioè tutti gli uomini di guerra, erano morti nel deserto durante il viaggio, dopo essere usciti dall’Egitto.

5 Or tutto questo popolo uscito dall’Egitto era circonciso; ma tutto il popolo nato nel deserto durante il viaggio, dopo l’uscita dall’Egitto, non era stato circonciso.

6 Poiché i figliuoli d’Israele avean camminato per quarant’anni nel deserto finché tutta la nazione, cioè tutti gli uomini di guerra ch’erano usciti dall’Egitto, furon distrutti, perché non aveano ubbidito alla voce dell’Eterno. L’Eterno avea loro giurato che non farebbe loro vedere il paese che avea promesso con giuramento ai loro padri di darci: paese ove scorre il latte e il miele;

7 e sostituì a loro i loro figliuoli. E questi Giosuè li circoncise, perché erano incirconcisi, non essendo stati circoncisi durante il viaggio.

8 E quando s’ebbe finito di circoncidere tutta la nazione, quelli rimasero al loro posto nel campo, finché fossero guariti.

9 E l’Eterno disse a Giosuè: "Oggi vi ho tolto di dosso il vituperio dell’Egitto". E quel luogo fu chiamato Ghilgal, nome che dura fino al dì d’Oggi.

10 I figliuoli d’Israele si accamparono a Ghilgal, e celebrarono la Pasqua il quattordicesimo giorno del mese, sulla sera, nelle pianure di Gerico.

11 E l’indomani della Pasqua, in quel preciso giorno, mangiarono dei prodotti del paese: pani azzimi e grano arrostito.

12 E la manna cessò l’indomani del giorno in cui mangiarono de’ prodotti del paese; e i figliuoli d’Israele non ebbero più manna, ma mangiarono, quell’anno stesso, del frutto del paese di Canaan.

13 Or avvenne, come Giosuè era presso a Gerico, ch’egli alzò gli occhi, guardò, ed ecco un uomo che gli stava ritto davanti, con in mano la spada snudata. Giosuè andò verso di lui, e gli disse: "Sei tu dei nostri, o dei nostri nemici?"

14 E quello rispose: "No, io sono il capo dell’esercito dell’Eterno; arrivo adesso". Allora Giosuè cadde con la faccia a terra, si prostrò, e gli disse: "Che cosa vuol dire il mio signore al suo servo?"

15 E il capo dell’esercito dell’Eterno disse a Giosuè: "Lèvati i calzari dai piedi; perché il luogo dove stai è santo". E Giosuè fece così.