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Levitico 3:17

Studie

       

17 Questa è una legge perpetua, per tutte le vostre generazioni, in tutti i luoghi dove abiterete: non mangerete né grassosangue".

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Arcana Coelestia # 9393

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Ultimo Giudizio # 39

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39. Il mondo cristiano ignora il fatto che non ci può essere la fede senza la carità. Ignora cosa sia la carità verso il prossimo. Non sa neppure che la volontà è ciò che fa di noi quello che siamo realmente, e il suo pensiero concorre in questo nella misura in cui è conforme con la volontà.

Per fare chiarezza nell’intelletto su questi temi, desidero aggiungere qui di seguito le mie annotazioni tratte da alcuni passi in Arcana Coelestia.

Se non fosse noto che ogni cose nell'universo si deve al bene e alla verità e che questi due devono essere uniti affinché ogni cosa venga ad esistenza, non sarebbe neppure noto che tutte le cose nella chiesa si riferiscono alla fede e all’amore, e questi due, allo stesso modo devono essere uniti (nn. 77527762, 9186, 9224). Ogni cosa nell'universo si deve alla verità e al bene e alla loro unione (nn. 2451, 3166, 4390, 4409, 5232, 7256, 10122, 10555). La verità appartiene alla fede, ed il bene all’amore (nn. 4352, 4997, 7178, 10367).

[2] Se non fosse noto che ogni cosa nell’uomo - se questi è autenticamente uomo - si riferisce a l'intelletto e la volontà e alla loro unione – non sarebbe neppure noto che ogni cosa nella chiesa si riferisce alla fede e all'amore ed alla loro unione, che deve aver luogo affinché vi possa essere una chiesa in ciascuno (nn. 2231, 7752, 7753, 7754, 9224, 9995, 10122). Ogni persona ha due facoltà, una chiamata intelletto, l'altra volontà (nn. 641, 803, 3539, 3623). L'intelletto è preposto alla ricezione delle verità, che compongono la fede; la volontà è preposta alla ricezione di ogni genere di bene, di cui si compone l'amore (nn. 9300, 9930, 10064 ). Ne consegue che è l'amore, ovvero la carità che fa la chiesa e non la sola fede, cioè la fede separata dalla amore e dalla carità (nn. 809, 916, 1798, 1799, 1834, 1844, 4766, 5826).

[3] La fede separata dalla carità non è affatto la fede (nn. 654, 724, 1162, 1176, 2049, 2116, 2343, 2349, 3419, 3849, 3868, 6348, 7039, 7342, 9783). Una fede di questo genere si estingue nell'altra vita (nn. 2228, 5820). Gli insegnamenti sulla sola fede distruggono la carità (nn. 6353, 8094). Coloro che separano la fede dalla carità sono rappresentati nella Parola da Caino, Cam, Ruben, dai primogeniti degli egiziani e dei filistei (nn. 3325, 7097, 7317, 8093). Nella misura in cui la carità affievolisce, il dogma della sola fede si rafforza (n. 2231). Ogni chiesa nel corso del tempo devia dalla carità alla fede, e infine, alla sola fede (nn. 4683, 8094) Nel periodo finale di una chiesa non c'è fede, perché non c'è carità (nn. 1843, 3488). Chi sostiene che la sola fede sia salvifica, non considera pregiudizievole a ciò, condurre una vita empia; e coloro che conducono una vita empia non hanno fede, perché non hanno la carità (nn. 3865, 7766, 7778, 7790, 7950, 8094). Queste persone sono interiormente consumate dalle falsità del proprio male, sebbene lo ignorino (nn. 7790, 7950). Conseguentemente il bene non possono essere congiunto in loro (nn. 8891, 8893). Nell'altra vita questi si oppongono al bene e a coloro che sono impegnati nell’agire bene (nn. 7097, 7127, 7317, 7502, 7545, 8096, 8313). I semplici di cuore conoscono meglio dei cosiddetti saggi ciò conduce ad una vita nel bene, e quindi sanno cosa è la carità, ma non concepiscono che la fede possa essere separata dalla carità (nn. 4741, 4754).

[4] Il bene in ogni cosa costituisce la sua realtà sottostante; e la verità è la sua manifestazione. Così la verità di una fede religiosa attinge la sua vitalità dall’agire bene, in uno spirito di carità (nn. 3049, 3180, 4574, 5002, 9144). Di conseguenza, la verità della fede viene alla vita quando si agisce nel bene della carità; dunque la carità è la vita sottostante alla fede (nn. 1589, 1997, 2049, 4070, 4096, 4097, 4736, 4757, 4884, 5147, 5928, 9154, 9667, 9841, 10729). La fede di una persona non è viva quando essa conosce semplicemente e pensa riguardo ad essa, ma solo quando desidera e compie ciò che la fede insegna (n. 9224). La sola fede non ci avvicina al Signore, ma soltanto la vita conforme alla fede, che è la carità (nn. 9380, 10143, 10153, 10578, 10645, 10648). Il culto conforme al bene della carità è vero culto; ma se si basa sulla verità della fede senza il bene della carità è solo un atto esteriore (n. 7724).

[5] La sola fede, separata dalla carità, è come la luce in inverno, quando ogni cosa sulla terra è inattiva e non c’è alcuna crescita. Invece, la fede insieme alla carità è come la luce in primavera e in estate, quando tutto fiorisce e cresce (nn. 2231, 3146, 3412, 3413). Nell’altra vita la luce invernale, che e la luce della fede separata dalla carità, si trasforma in densa oscurità, quando sopraggiunge la luce dal cielo. Coloro la cui fede è di questo tipo vengono poi ridotti alla cecità e alla stupidità (nn. 3412-3413). Coloro che separano la fede dalla carità sono nell’oscurità, o nell'ignoranza della verità, quindi sono invischiati nelle falsità; perché queste sono le tenebre (n. 9186). Si immergono nelle falsità e così nei mali (nn. 3225, 8094); gli errori e le falsità in cui si immergono (nn. 4721, 4730, 4776, 4783, 4925, 7779, 8313, 8765, 9224). La Parola è preclusa a loro (nn. 3773, 4783, 8780). Non vedono, né prestano attenzione alle molteplici dichiarazioni del Signore riguardo all’amore e alla carità (nn. 1017, 3416). Inoltre, non sanno cosa sia il bene, l’amore celeste o la carità (nn. 2417, 3603, 4136, 9995).

[6] La carità è ciò che costituisce la chiesa, non la fede separata dalla carità (nn. 809, 916, 1798, 1799, 1834, 1844) In che misura la chiesa sarebbe nel bene, se la carità fosse considerati come preponderante (nn. 6269, 6272). Se la carità fosse il suo elemento essenziale, non ci sarebbe che una chiesa, non una divisione fra molti culti; e quindi non avrebbero importanza i differenti insegnamenti sulla fede e la differenti forme esterne del culto (nn. 1285, 1316, 2385, 2853, 2982, 3267, 3445, 3451, 3452). Ognuno nel cielo è stimato in relazione alla propria carità, e nessuno in relazione alla fede separata dalla carità (nn. 1258, 1394, 2364, 4802).

[7] I dodici discepoli del Signore rappresentano la chiesa in relazione alla fede e alla carità nel loro insieme, così come le dodici tribù di Israele (nn. 2129, 3354, 3488, 3858, 6397). Pietro, Giacomo e Giovanni rappresentano rispettivamente la fede, la carità e le buone azioni che derivano dalla carità (n. 3750). Pietro sta per la fede (prefazione a Genesi 22; nn. 4738, 6000, 6073, 6344, 10087). Giovanni, le buone azioni che derivano dalla carità (prefazione a Genesi 18). Il fatto che nel periodo finale della chiesa non vi sia più fede nel nel Signore, perché non c'è la carità è stato rappresentata da Pietro che per tre volte rinnegò il Signore prima che il gallo cantasse per la seconda volta. Pietro in quel passo, nel senso interno rappresenta la fede (nn. 6000, 6073). Il canto del gallo e il crepuscolo nella Parola significano il periodo finale di una chiesa (n. 10134). E tre o tre volte significa ciò che è giunto a compimento (nn. 2788, 4495, 5159, 9198, 10127). C'è un significato simile nelle parole del Signore a Pietro, quando questi vide Giovanni che seguiva il Signore (n.10087):

Signore, che ne sarà di lui? Gesù gli rispose: Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? (Giovanni 21:21-22)

Poiché Giovanni rappresentava le buone azioni che procedono dalla carità, egli si chinò sul petto del Signore [Giovanni 13:23-25; 21:20] (nn. 3934, 10081). Tutti i nomi di persona e i luoghi nella Parola rappresentano delle qualità in astratto (nn. 768, 1888, 4310, 4442, 10329).

[8] Il cielo è diviso in due regni, uno chiamato regno celeste, l'altro, regno spirituale. L'amore nel regno celeste è l'amore per il Signore, chiamato amore celeste, e l'amore nel regno spirituale, è la carità verso il prossimo, chiamato amore spirituale (nn. 3325, 3653, 7257, 9002, 9835, 9961 ). La divisione del cielo in quei due regni è descritta in Cielo e inferno 20-28. Il Divino del Signore nei cieli è l'amore per lui e la carità verso il prossimo (nn. 13-19 nella stessa opera).

[9] Non vi può essere alcuna conoscenza del bene e della verità se non è noto cosa sono l'amore per il Signore e la carità verso il prossimo, dal momento che tutto il bene è dall'amore e dalla carità, e tutta la verità è dal bene (nn. 7255, 7366). La carità è un effetto della conoscenza di ciò che è vero, essendo la volontà di fare ciò che la verità insegna, per amore della verità stessa (nn. 3876-3877). La carità consiste in un affezione interiore di fare ciò che la verità insegna, e non in un desiderio separato da quello interiore (nn. 2439, 2442, 3776, 4899, 4956, 8033). La carità dunque consiste nell’adempiere agli usi, per amore degli usi. La qualità della carità di ciascuno dipende dalla natura degli usi posti in essere (nn. 7078, 8253). La carità è l’approccio spirituale alla vita di ciascuno (n. 7081). Tutta la Parola è incentrata sull’insegnamento dell’amore e della carità (nn. 6632, 7261). Nel tempo presente è del tutto ignoto cosa sia la carità (nn. 2417, 3398, 4776, 6632). Nondimeno, alla luce della ragione emerge che l'amore e la carità sono ciò che ci rendo umani (nn. 3957, 6273); e che il bene e la verità sono in armonia, e appartengono l’uno all'altra, e così anche la carità e la fede (n. 7267).

[10] Nel senso più alto, il Signore è il nostro prossimo, perché egli deve essere amato al di sopra di tutti. Di conseguenza, tutto ciò che procede da lui e in cui egli è presente – vale a dire il bene e la verità- è il prossimo (nn. 2425, 3419, 6706, 6819, 6823, 8124). La differenza tra un prossimo e un altro dipende dalla natura del bene che questi fa, e di conseguenza dalla presenza in lui o in lei, del Signore (nn. 6707-6710). Ogni persona e ogni comunità, così come il proprio paese e la propria chiesa, e nel senso universale, il regno del Signore, sono il prossimo. Amare il prossimo è fare il bene, per amore del bene, in modo adeguato alla condizione di ogni genere di prossimo. Così il prossimo è il benessere degli altri, di cui si deve avere riguardo (nn. 68186824, 8123). Nostro prossimo è il bene civico, che è la giustizia, e il bene morale, che è il bene della vita nella comunità (nn. 2915, 4730, 8120, 8121, 8122 ). Amare il prossimo non è amare una persona così come appare i pubblico, ma ciò che la determina nell’intimo, vale a dire il suo bene e la sua verità (nn. 5025, 10336). Se si ama una persona per come essa appare esteriormente, e non secondo ciò che questa ha nell’animo, si ama indistintamente sia chi è nel bene sia chi è nel male (n. 3820). Queste persone fanno del bene al malvagio tanto quanto alle persone buone; e nondimeno, fare del bene agli empi è fare del male al bene; e questo non è amare il prossimo (nn. 3820, 6703, 8120). Ama il prossimo il giudice che punisce i malvagi al fine di riformarli e di evitare che rechino danni ad altri (nn. 3820, 8120, 8121).

[11] Amare il prossimo è fare ciò che è buono, equo e giusto in ogni funzione e in ogni ufficio (nn. 8120-8122). Così la carità verso il prossimo si estende ad ogni singola cosa che una persona pensa, vuole e fa (n. 8124). Fare dunque ciò che è buono e vero al fine del bene e della verità, è amare il prossimo (n. 10130, 10376). Coloro che fanno questo, amano il Signore, che è il prossimo, nel senso più alto (n. 9210). La vita della carità è una vita conforme con i comandamenti del Signore; perciò, vivere secondo le verità Divine è amare il Signore (nn. 10143, 10153, 10310, 10578, 10645).

[12] L’autentica carità non cerca alcuna ricompensa (nn. 2371, 2380, 2400, 3887, 63886393), perché viene da un intima affezione di fare ciò che è bene, per la gioia di farlo (nn. 2371, 2400, 3887, 63886393 ). Nell'altra vita, chi separa la fede dalla carità, rivendica una ricompensa per quelle azioni che ha fatto, che sembravano esteriormente come buone azioni (n. 2273).

[13] La dottrina della Chiesa verteva sul modo di vivere; era dunque un insegnamento sulla carità (nn. 2385, 2417, 3419, 3420, 4844, 6628). Gli antichi che appartenevano alla chiesa distinguevano le buone azioni dividendole in categorie, attribuendo a ciascuna il suo nome. Questa era la fonte della loro sapienza (nn. 2417, 6629, 72597262). La sapienza e l'intelligenza di coloro che hanno vissuto una vita di carità nel mondo aumentano enormemente nell'altra vita (nn. 1941, 5849). Il Signore fluisce nella carità con la verità Divina, perché egli fluisce nella vita autentica di ogni persona (n. 2363). Ogni persona somiglia a un giardino, quando la carità e la fede sono legati in lei; oppure a un deserto quando non non lo sono (n. 7626). Nella misura in cui una persona si allontana dalla carità, allo stesso modo si allontana dalla sapienza (n. 6630). Coloro che difettano di carità sono ignoranti sulle Divine verità, per quanto essi stessi si reputino savi (nn. 2417, 2435). La vita degli angeli consiste nel compimento delle buone azioni della carità, che sono gli usi (n. 454). Gli angeli spirituali sono modelli di carità (nn. 553, 3804, 4735).

[14] Ogni persona possiede due facoltà, una chiamata intelligenza, l'altra volontà (nn. 35, 641, 3539, 10122). Queste due facoltà costituiscono realmente la persona (nn. 10076, 10109, 10110, 10264, 10284). La natura di tali facoltà determina la natura della persona (nn. 7342, 8885, 9282, 10264, 10284. Queste facoltà servono a distinguere l'uomo dagli animali, perché l'intelletto umano può essere elevato dal Signore in modo da vedere le Divine verità; e allo stesso modo la volontà può essere elevata in modo da percepire il Divino bene. Così una persona può essere congiunta al Signore con le due facoltà che la costituiscono. Ma il caso è diverso per gli animali (4525, 5302, 5114, 6323, 9231). Dato che l'uomo è superiore agli animali a ha questa capacità, non può morire in quanto ai suoi accessi più intimi che appartengono al suo spirito, ma vive per sempre (n. 5302).

[15] Tutte le cose nell'universo sono in relazione con il bene e alla verità; e allo stesso modo, tutte le cose in una persona sono in relazione con a volontà e l'intelletto (nn. 803, 10122), perché l'intelletto riceve verità e la volontà riceve bene (nn. 3332, 3623, 5835, 6065, 6125, 7503, 9300, 9930). Dire verità è lo stesso che dire fede, perché la fede ha a che fare con la verità e la verità con la fede. Dire bene è lo stesso che dire amore, perché l'amore ha a che fare con il bene e il bene con l'amore. Verità, è ciò in cui si crede; bene ciò che si ama (nn. 4353, 4997, 7178, 10122, 10367). Ne consegue che l'intelletto è la parte di noi che può ricevere la fede; e la volontà è la parte di noi che può ricevere l’amore (nn. 7179, 10122, 10367). Dato che l'intelletto di una persona è in grado di ricevere la fede in Dio e la sua volontà è in grado di ricevere l'amore di Dio, attraverso la fede e l'amore può essere legata a Dio; ed essendo capace di questo, non può mai morire (nn. 4525, 6323, 9231).

[16] la volontà di una persona è l’autentico essere della sua vita, perché riceve l’amore, ovvero il bene. Il suo intelletto è la manifestazione della sua vita da questa fonte, perché ricevere la fede, ovvero la verità (nn. 3619, 5002, 9289). Così la vita della volontà è l'elemento principale nella vita di una persona, e la vita dell'intelletto deriva da essa (nn. 585, 590, 3619, 7342, 8885, 9282, 10076, 10109, 10110) nello stesso modo in cui la luce proviene dal fuoco o dalla fiamma (nn. 6032, 6314). Ciò che è accettato dalla volontà di una persona, diviene parte di essa (nn. 3161, 9386, 9393). Ne consegue che la nostra vita dipende dalla nostra volontà e dall’intelletto che ne deriva (nn. 8911, 9069, 9071, 10076, 10109, 10110). Ogni individuo è amato e stimato dagli altri in proporzione al bene della sua volontà, e secondariamente in ragione del bene del suo intelletto. Ciascuno è amato e stimato se le sue intenzioni e il suo intelletto sono buoni; viceversa, chiunque abbia un intelletto acuto, ma cattive intenzioni viene respinto e considerato privo di valore (nn. 8911, 10076). Dopo la morte, ciascuno rimane nella sua volontà e nell'intelletto che ne è derivato (nn. 9069, 9071, 9386, 10153); Ciò che è nell'intelletto e non allo stesso tempo nella volontà dell’individuo, allora svanisce, perché non è nella sua persona (n. 9282). Per dirla in altro modo, lo stato di una persona dopo la morte rimane come era il suo amore e quindi la sua fede, ovvero come era il suo bene e quindi la sua verità. Le questioni che hanno a che fare con la fede, ma non anche con l'amore, ovvero ciò che attiene con la verità, ma non anche con il bene, allora svaniscono, perché non sono nella persona, né gli appartengono (nn. 553, 2363, 10153). Una persona può aderire intellettualmente a ciò che non metterebbe in atto volontariamente; in altre parole, non si può comprendere ciò che è contrario al nostro amore, né ciò che non siamo disposti a fare (n. 7539). La causa che rende difficile nell’individuo fare distinzione tra pensiero e la volontà (n. 9995).

[17] Quanto è perverso lo stato di coloro il cui intelletto e la volontà non agiscono come uno (n. 9075). In questa condizione versano gli ipocriti, i truffatori, i leccapiedi e gli impostori (nn. 3527, 3573, 4799, 8250).

[18] Ogni atto che la volontà compia dal bene e ogni comprensione della verità, sono dal Signore; ma non la comprensione della verità separata dalla volontà del bene (nn. 1831, 3514, 5482, 5649, 6027, 8685, 8701, 10153.). È l'intelletto che è illuminato dal Signore (nn. 6222, 6608, 10659). Questa illuminazione si verifica nella misura in cui l'individuo riceve la verità nella sua volontà, cioè nella misura in cui egli desidera agire in conformità della verità (n. 3169). L'intelligenza dipende dalla luce dal cielo, esattamente come la vista dipende dalla luce del mondo (nn. 1524, 5114, 6608, 9128). La natura dell'intelletto è determinata dalla natura delle verità derivate dal bene da cui esso è formato (n. 10064). L'intelletto è formato da verità derivate dal bene, non dalle falsità derivate dal male (n. 10675). L'intelligenza è la capacità di vedere – sulla base della nostra conoscenza ed esperienza - se una cosa è vera, le cause degli eventi, le loro conseguenze logiche ed in che modo l’una segue all’altra (n. 6125). L'intelligenza è la capacità di vedere e percepire se una cosa è vera prima che ne sia fornita la prova; non è la capacità di dimostrare qualsiasi cosa si voglia (nn. 4741, 7012, 7680, 7950, 8521, 8780). La capacità di vedere e percepire se una cosa è vera prima che ne sia fornita la prova è in capo soltanto a coloro che hanno un’affezione della verità per amore della verità, quelli cioè che godono della luce spirituale (n. 8521). La luce che viene dalle prove è una luce naturale, che anche l'empio può possedere (n. 8780). Tutti i dogmi, anche quelli falsi, possono essere dimostrato fin al punto da sembrare veri (nn. 2385, 2477, 5033, 6865, 7950).

  
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