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Daniel 9

Studie

   

1 NELL’anno primo di Dario, figliuol di Assuero, della progenie di Media, il quale era stato costituito re sopra il regno de’ Caldei;

2 nell’anno primo di esso, io Daniele avendo inteso per i libri che il numero degli anni, de’ quali il Signore avea parlato al profeta Geremia, ne’ quali si dovevano compiere le desolazioni di Gerusalemme, era di settant’anni;

3 volsi la mia faccia verso il Signore Iddio, con digiuno, con sacco, e con cenere, per dispormi ad orazione, e supplicazione; e fece orazione, e confessione al Signore Iddio mio, e dissi:

4 Ahi! Signore, Dio grande, e tremendo, che osservi il patto, e la benignità, a quelli che ti amano, ed osservano i tuoi comandamenti;

5 noi abbiam peccato, ed abbiamo operato iniquamente, ed empiamente; e siamo stati ribelli, e ci siam rivolti da’ tuoi comandamenti, e dalle tue leggi.

6 E non abbiamo ubbidito a’ profeti tuoi servitori, i quali hanno, in Nome tuo, parlato a’ nostri re, a’ nostri principi, ed a’ nostri padri, ed a tutto il popolo del paese.

7 A te appartiene la giustizia, o Signore; ed a noi la confusion di faccia, come appare al dì d’oggi; agli uomini di Giuda, agli abitanti di Gerusalemme, ed a tutto Israele, vicini, e lontani, in tutti i paesi dove tu li hai scacciati per lo misfatto loro, che han commesso contro a te.

8 O Signore, a noi appartiene la confusion di faccia, a’ nostri re, a’ nostri principi, e a’ nostri padri; conciossiachè abbiam peccato contro a te.

9 Al Signore Iddio nostro appartengono le misericordie, e i perdoni; perciocchè noi ci siam ribellati contro a lui;

10 e non abbiamo ubbidito alla voce del Signore Iddio nostro, per camminar nelle sue leggi, ch’egli ci ha proposte per li profeti suoi servitori.

11 E tutto Israele ha trasgredita la tua Legge, e si è tratto indietro, per non ascoltar la tua voce; laonde è stata versata sopra noi l’esecrazione, e il giuramento, scritto nella Legge di Mosè, servitor di Dio; perciocchè noi abbiam peccato contro a lui.

12 Ed egli ha messe ad effetto le sue parole, ch’egli avea pronunziate contro a noi, e contro a’ nostri rettori, che ci han retti, facendo venir sopra noi un mal grande; talchè giammai, sotto tutti i cieli, non avvenne cosa simile a quello ch’è avvenuto in Gerusalemme.

13 Tutto questo male è venuto sopra noi, secondo quello ch’è scritto nella Legge di Mosè; e pur noi non abbiam supplicato al Signore Iddio nostro, convertendoci dalle nostre iniquità, e attendendo alla tua verità.

14 E il Signore ha vigilato sopra questo male, e l’ha fatto venir sopra noi; perciocchè il Signore Iddio nostro è giusto in tutte le sue opere ch’egli ha fatte; conciossiachè noi non abbiamo ubbidito alla sua voce.

15 Or dunque, o Signore Iddio nostro, che traesti il tuo popolo fuori del paese di Egitto, con man forte, e ti acquistasti un Nome, qual’è al dì d’oggi; noi abbiam peccato, noi abbiamo operato empiamente.

16 Signore, secondo tutte le tue giustizie, racquetisi, ti prego, l’ira tua, e il tuo cruccio, inverso Gerusalemme, tua città; inverso il monte tuo santo; conciossiachè, per li nostri peccati, e per l’iniquità de’ nostri padri, Gerusalemme, e il tuo popolo, sieno in vituperio appo tutti quelli che sono d’intorno a noi.

17 Ed ora, ascolta, o Dio nostro, l’orazione del tuo servitore, e le sue supplicazioni; e per amor del Signore, fa’ risplendere il tuo volto sopra il tuo santuario, che è desolato.

18 Inchina, o Dio mio, il tuo orecchio, ed ascolta; apri gli occhi, e vedi le nostre desolazioni, e la città che si chiama del tuo Nome; perciocchè noi non presentiamo le nostre supplicazioni nel tuo cospetto, fondati sopra le nostre giustizie, anzi sopra le tue grandi misericordie.

19 Signore, esaudisci; Signore, perdona; Signore, attendi, ed opera, senza indugio, per amor di te stesso, o Dio mio; perciocchè la tua città, e il tuo popolo, si chiamano del tuo Nome.

20 Ora, mentre io parlava ancora, e faceva orazione, e confessione del mio peccato, e del peccato del mio popolo Israele; e presentava la mia supplicazione davanti al Signore Iddio mio, per lo monte santo dell’Iddio mio;

21 mentre io parlava ancora, orando, quell’uomo Gabriele, il quale io avea veduto in visione al principio, volò ratto, e mi toccò, intorno al tempo dell’offerta della sera.

22 Ed egli m’insegnò, e parlò meco, e disse: Daniele, io sono ora uscito per darti ammaestramento, ed intendimento.

23 Fin dal cominciamento delle tue supplicazioni, la parola è uscita; ed io son venuto per annunziartela; perciocchè tu sei uomo gradito; ora dunque pon mente alla parola, e intendi la visione.

24 Vi sono settanta settimane determinate sopra il tuo popolo, e sopra la tua santa città, per terminare il misfatto, e per far venir meno i peccati, e per far purgamento per l’iniquità, e per addurre la giustizia eterna, e per suggellar la visione, ed i profeti; e per ungere il Santo de’ santi.

25 Sappi adunque, ed intendi, che da che sarà uscita la parola, che Gerusalemme sia riedificata, infino al Messia, Capo dell’esercito, vi saranno sette settimane, e altre sessantadue settimane, nelle quali saranno di nuovo edificate le piazze, e le mura, e i fossi; e ciò, in tempi angosciosi.

26 E dopo quelle sessantadue settimane, essendo sterminato il Messia senza, che gli resti più nulla, il popolo del Capo dell’esercito a venire distruggerà la città, e il santuario; e la fine di essa sarà con inondazione, e vi saranno desolazioni determinate infino al fine della guerra.

27 Ed esso confermerà il patto a molti in una settimana; e nella metà della settimana farà cessare il sacrificio, e l’offerta; poi verrà il desertatore sopra le ale abbominevoli; e fino alla finale e determinata perdizione, quell’inondazione sarà versata sopra il popolo desolato.

   


To many Protestant and Evangelical Italians, the Bibles translated by Giovanni Diodati are an important part of their history. Diodati’s first Italian Bible edition was printed in 1607, and his second in 1641. He died in 1649. Throughout the 1800s two editions of Diodati’s text were printed by the British Foreign Bible Society. This is the more recent 1894 edition, translated by Claudiana.

Komentář

 

Esposizione della preghiera di Daniele

Napsal(a) Andy Dibb (strojově přeloženo do Italiano)

Mantenere l'equilibrio nella propria vita spirituale è di suprema importanza - e forse questo è il motivo per cui il libro di Daniele è dato in due forme così chiaramente delimitate. I primi sei capitoli ci mostrano la storia della vita di Daniele a Babilonia, dal tempo della sua prigionia come giovane alla sua elevazione al potere nel regno di Dario il Mede. La visione d'insieme di questi primi sei capitoli è di portare a casa il concetto che la nostra vita spirituale è una progressione continua. Certamente ci sono momenti difficili, e certamente l'egoismo nei nostri caratteri è spesso difficile da battere. Implicita nella storia, tuttavia, è la continua promessa che questo male può essere e sarà sconfitto. Abbiamo bisogno di tenerlo a mente.

Mentre ci siamo rivolti alla sezione profetica del libro, l'importanza della sezione storica diventa più chiara. Nel capitolo sette, nel mezzo dell'orribile visione che racconta la nostra caduta nel male, dobbiamo ricordare il contesto della visione - ha luogo nel regno di Belshazzar. Così come la visione del capitolo otto, che descrive l'alternanza di stati di bene e di male, e in particolare lo stato in cui il male sembra prendere completamente il sopravvento e dominare la nostra mente.

In queste visioni c'è la tendenza a sentirsi disperati. Tornerà mai la bontà a noi, lo stato tornerà mai verso il bene? La reazione di Daniele a questa visione fu di svenire e sentirsi male per giorni.

L'oscurità della notte, tuttavia, è sempre rotta dai bagliori della luce del mattino. Nel profondo della tentazione, fino al punto di disperazione, ci viene dato il dono della vista lunga mostrata nella sezione storica. Il re Belshazzar, durante il cui regno Daniele vide queste visioni, fu deposto da Dario il Mede, e anche se affrontò terribili pericoli durante quegli anni, tuttavia, salì ad una posizione di grande potere.

Belshazzar, come abbiamo visto prima, rappresenta gli stati di egoismo e di malvagità nella nostra vita esterna. Quando ci permettiamo un egoismo sfrenato, quando ci permettiamo volontariamente di scartare le verità contenitive della Parola, allora il nostro male si esprimerà nella vita quotidiana. Anche le cose buone che facciamo, quando sono fatte da un motivo egoistico, sono in realtà espressioni del male. Come Belshazzar prima di noi, quando siamo in questo stato, profaniamo in modo sfrenato l'amore del bene e la comprensione della verità dataci dal Signore.

Questo stato, tuttavia, non dura mai, a meno che non scegliamo di abbracciarlo di nostra spontanea volontà. Come nel caso delle quattro bestie mostrate nel capitolo sette, ci sarà un tempo di giudizio. Come Belshazzar, saremo pesati sulla bilancia e trovati carenti.

La domanda importante, tuttavia, è cosa facciamo per invertire la tendenza del male, o per far pendere la bilancia della nostra vita? Anche nel capitolo otto, quando Daniele vede la visione dell'ariete e del capro, si trovava all'interno delle mura della cittadella di Shushan, mostrandoci che non importa quanto scivoliamo nel male, il Signore prevede che la nostra coscienza sia sempre in grado di attivarsi, e da quella coscienza siamo in grado di vedere la nostra condizione, pentirci e allontanarci da essa.

Ne consegue, quindi, che i capitoli sette e otto delineano una progressione naturale dall'origine del male nella nostra vita, descritta come la bestia, al dominio del male, mostrato dalle azioni del capro. La liberazione viene dall'umiltà e dal pentimento davanti al Signore, e il capitolo nove si concentra sul pentimento che conduce alla realizzazione della vita spirituale.

VERSI 1-2

Abbiamo incontrato per la prima volta Dario il Mede alla fine del capitolo cinque, quando entrò in Babilonia e uccise Belshazzar la notte stessa della festa profana. È stato menzionato specificamente che Dario aveva sessantadue anni in quel momento. L'analisi del modo in cui Dario esaltò Daniele, specialmente la sua riluttanza a farlo mettere a morte, indica che Dario rappresenta una persona che è in procinto di passare dal puro egoismo a uno stato in cui la coscienza, simboleggiata da Daniele, è elevata a un rango elevato. In questo stato la coscienza comincia a governare i nostri pensieri come Daniele governava a Babilonia, secondo solo a se stesso (Cfr. Daniele 6:3).

Il regno di Dario fa da contrappunto a quello di Belshazzar, sia nella serie storica che in quella profetica. Nel regno di Belshazzar, che incarnava l'egoismo, Daniele vide visioni di bestie che mettevano in fuga il bene. Questi stati, come detto prima, si alternano con altri stati in cui la coscienza è in grado di dirigere i nostri sentimenti e pensieri. Questi ultimi sono stati di lucidità spirituale e di ricomposizione alla rigenerazione, e per corrispondenza hanno luogo durante il regno di Dario.

Daniele, che aveva vissuto a lungo in Babilonia, sopravvivendo sia a Nabucodonosor che a Belshazzar, si ritrovò vecchio. Era stato portato in prigionia da ragazzo, e in seguito aveva assistito da lontano alla distruzione di Gerusalemme da parte delle orde babilonesi. Dal suo punto di vista privilegiato era consapevole del gran numero di ebrei costretti a vivere in Babilonia su ordine del re. Era altrettanto consapevole della distruzione del tempio di Gerusalemme, e sapeva che questo significava che nessun culto sacrificale poteva avere luogo. Eppure Daniele conosceva anche le profezie che indicavano che questo stato di cose non sarebbe durato per sempre. Egli afferma di "aver capito dai libri il numero di anni specificato... che Egli avrebbe compiuto settant'anni nelle desolazioni di Gerusalemme". Gli anni nel senso interno della parola non si riferiscono mai al tempo, sempre allo stato, e il numero di anni si riferisce quindi agli stati che una persona deve attraversare nel suo stato egoistico, o babilonese, prima di essere liberata per vivere di nuovo senza l'influenza dell'egoismo a guastare la sua vita.

La desolazione di Gerusalemme è il danno fatto alla chiesa, o più specificamente agli stati di genuina bontà e verità dentro di noi, dal male dell'egoismo. L'egoismo è la singola emozione umana più distruttiva, come abbiamo visto dalla violenza della sua rappresentazione nelle azioni di Nabucodonosor, la profanazione di Belshazzar, e nel terrore della bestia e del capro. Tuttavia, se la coscienza umana viene nutrita e alimentata, se viene innalzata, come Dario ha onorato e promosso Daniele, allora la coscienza fiorirà, e la sanità mentale spirituale sarà ripristinata.

Il processo richiede una vita intera. "Duemilatrecento sere e mattine", fu detto a Daniele, alternanze che continuano attraverso stati di tentazione fino a quando è possibile che un nuovo stato irrompa nella nostra mente e vi si stabilisca.

Nel capitolo nove i settant'anni di cattività babilonese descrivono il costante crollo del potere dell'egoismo su di noi. "Settant'anni" di cattività prima della liberazione rappresentano gli stati in noi prima che il Signore sia presente. Quando siamo in stati di egoismo, il nostro egoismo blocca la presenza del Signore. Quando ci rigeneriamo, però, l'egoismo viene messo da parte e il Signore è in grado di avvicinarsi. La presenza del Signore nella nostra vita ha l'effetto di abbattere ulteriormente il nostro egoismo e di inaugurare nuovi stati di vita liberati da questo.

Visto da questo punto di vista, il capitolo nove segue chiaramente i capitoli sette e otto. Il pendolo della vita ha oscillato, siamo consapevoli dei nostri mali, di fatto siamo ancora immersi in essi, ma per il potere della coscienza iniziamo il processo di liberazione.

VERSI 9-19

La rigenerazione spirituale inizia nell'umiltà. Daniele era consapevole della cattività di Israele in Babilonia, e desiderava che finisse. In umiltà rivolse il suo volto verso il Signore Dio, per fare le sue richieste con preghiere e suppliche e per sottolineare il suo dolore e il suo lutto per questo stato di cose con le pratiche di digiuno, indossando abiti di tela di sacco e versando cenere sulla sua testa.

Queste azioni, radicate nel più profondo dell'Antico Testamento, contengono al loro interno l'essenza stessa del pentimento. Rimarremo per sempre schiavi dell'egoismo a meno che e finché non saremo disposti ad umiliarci al Signore. Questo inizia quando riconosciamo l'opera della bestia e del capro nella nostra vita, quando vediamo Nabucodonosor e Belshazzar come re gemelli del male che dirigono il nostro io interno ed esterno. È facile dare la colpa di questi stati agli altri, sostenere che la nostra educazione non è stata buona, per esempio, ma in realtà la responsabilità è nostra. Il lato Daniel della nostra mente deve essere attivo.

Il primo passo dell'attività spirituale che alla fine ci renderà liberi è registrato nelle parole "Daniele rivolse la sua faccia al Signore Dio". Quel singolo movimento fisico è l'inizio della serie di eventi spirituali nella nostra vita che alla fine ci libererà dall'egoismo. Nel senso interno il "volto" rappresenta i nostri stati interni, che ci dà la capacità di vedere la nostra vita da una prospettiva diversa da quella dei semplici sensi (Arcana Coelestia 358, 5165) Come abbiamo visto prima, è grazie a Daniel, o alla nostra coscienza, che siamo in grado di vedere qualcosa in noi stessi. Parte del giudizio derivante dalla verità è guardare noi stessi, così come siamo, e rifiutare le parti malvagie o più grossolane del nostro essere. Daniele che gira la faccia verso il Signore Dio assume il significato di una persona che focalizza il suo interno sulla presenza del Signore in lui. Per fare questo, devono allontanarsi dal loro egoismo.

Fissando il nostro sguardo sul Signore siamo in grado di iniziare il processo di pentimento. Il pentimento è un processo che comporta un completo riorientamento della nostra vita. Ci viene detto che "il pentimento vero e proprio consiste nel fatto che una persona esamina se stessa, riconosce i propri peccati, prega il Signore e inizia una nuova vita" (La Vera Religione Cristiana 528).

Le visioni dei capitoli sette e otto, che mostrano l'origine e il progresso del male nella nostra vita, possono essere facilmente collegate all'esame di sé richiesto nel pentimento. Il capitolo Nove si occupa più pienamente del riconoscimento dei peccati e della preghiera al Signore per il perdono.

Tuttavia il pentimento non può mai iniziare senza volgere il nostro volto verso il Signore Dio, perché, come nelle parole del Salmista, tutti i nostri peccati sono in realtà peccati contro di Lui. Riconoscere questo è la base della vera umiltà.

È in questa umiltà che Daniele si propose di parlare al Signore. Notate le sue parole quando ha rivolto la sua faccia verso il Signore Dio "per chiedere con la preghiera e la supplica". In senso letterale Daniele sta pregando per la restaurazione di Gerusalemme e la libertà da Babilonia. Nella nostra vita, la nostra richiesta è per un ritorno agli stati di innocenza e di pace che abbiamo sperimentato l'ultima volta nei nostri anni infantili, con la differenza che dopo la rigenerazione questa innocenza è un'espressione di saggezza in contrasto con l'ignoranza infantile.

Daniele si rivolse al Signore con "preghiera e supplica". Queste parole non sono una semplice ripetizione della stessa cosa. Nella Parola dove si usano coppie di parole in questo modo, si attira l'attenzione sulla dualità nella Parola (Dottrina della Sacra Scrittura 80-90, La Vera Religione Cristiana 248-253). La Parola è un'effusione di amore e saggezza del Signore, che si riflette in ogni dettaglio, ma più chiaramente quando coppie di parole sono usate per descrivere la stessa cosa. "Preghiera e supplica" come coppia di parole, che significano la stessa cosa, esprimono sia l'amore che la saggezza del Signore, e usandole in questo modo, Daniele attira l'attenzione sul fatto che la nostra umiltà e pentimento provengono sia dalla volontà che dalla comprensione del nostro essere.

Se ci rivolgessimo al Signore solo con la volontà, potremmo scoprire che desideriamo pentirci, ma non abbiamo alcuna idea di come farlo. Il desiderio potrebbe alla fine naufragare perché non è diretto dalla comprensione. D'altra parte, il pentimento che non deriva anche dalla volontà o dal desiderio di cambiare non ha profondità. Il lato intellettuale della nostra mente da solo non può condurci in una nuova vita. Quindi i due devono andare insieme, come partner, per condurci con il desiderio della volontà secondo la saggezza della comprensione. Come Daniele, dobbiamo rivolgerci al Signore con "preghiera e supplica".

La preghiera, ci viene detto, "è parlare con Dio e allo stesso tempo avere una visione interiore delle cose per cui si prega" (Arcana Coelestia 2535). La preghiera è una parte molto necessaria della nostra vita spirituale. Ci viene detto che una persona può rimuovere i mali "solo se riconosce la Divina Provvidenza e prega che la rimozione sia fatta da essa" (Divina Provvidenza 184). Il potere di vincere i mali è dato in risposta alla preghiera (Insegnamenti sulla vita per la nuova Gerusalemme 31), che è descritto come "una certa apertura dell'interno dell'uomo verso Dio" (Arcana Coelestia 2535). Man mano che i nostri interni si aprono al Signore, il potere che Egli ha usato per combattere gli spiriti maligni ci viene dato da usare come potere proprio, il che ci mette in uno stato di libertà per resistere al male.

Notate le azioni di Daniele nella preghiera. La questione per cui pregava era vicina al suo cuore, la liberazione di Israele dalla cattività babilonese. Egli conosceva la profezia dei settant'anni e sapeva anche che erano passati circa settant'anni da quando la cattività aveva avuto luogo. La sua preghiera, tuttavia, non era quella di rivendicare i suoi diritti, non c'era arroganza nel suo tono, come a volte troviamo nel nostro quando pensiamo che il Signore non ha rispettato la sua parte del patto.

La preghiera di Daniele era piena di umiltà interiore ed esteriore. Vediamo prima l'umiltà esteriore quando si preparò alla preghiera digiunando e vestendosi di tela di sacco e cenere. Come in ogni dettaglio della Parola, questa sequenza di azioni contiene in sé una serie di stati, in questo caso stati preparatori alla preghiera stessa.

Daniele iniziò con il digiuno. In senso interno "digiunare" significa "piangere per la mancanza di bene e di verità" (Apocalisse Spiegata 1189:2). Nella nostra preghiera al Signore per l'aiuto in tempi di tentazione e la liberazione da essa, è importante iniziare con l'atteggiamento di riconoscimento che in realtà non abbiamo in noi alcun vero bene o verità. La nostra bontà è sotto il controllo dell'amore di sé, proprio come Daniele era, nonostante la sua alta posizione, tecnicamente ancora un prigioniero del re di Babilonia.

Possiamo cominciare a liberarci veramente dalla schiavitù dell'io solo quando arriviamo a questo riconoscimento - e questo è il motivo per cui Daniele dovette assistere a quelle due terribili visioni, in modo che lui, e noi attraverso lui, potessimo vedere il nostro stato, ed esserne colpiti, ed essere mossi dal desiderio di liberarcene. Il concetto di "digiuno" contiene quindi anche una volontà di entrare in combattimento contro il lato babilonese di noi stessi (Apocalisse Spiegata 730).

C'è un altro elemento nell'idea di digiuno che è anche di grande importanza qui. "Digiunare" sta anche per il desiderio di imparare le forme del bene e le verità di fede (Arcana Coelestia 9050:7). Senza questo desiderio il nostro progresso spirituale si ferma. Una persona che non ha interesse ad acquisire la conoscenza delle forme di bontà e verità chiude la sua mente alla presenza del Signore, rimanendo così nell'ignoranza e alla fine ricadrà, senza resistenza, in una vita di egoismo sfrenato.

Questo digiuno è per molti versi analogo a quello del giovane Daniele, appena portato a Babilonia da Gerusalemme, quando rifiutò di mangiare il cibo della tavola del re. Anche se mangiò verdure fresche, tecnicamente digiunò rispetto al cibo di Nabucodonosor. "Mangiare" e "bere" rappresentano l'assimilazione dei beni e delle verità nella nostra mente, e in senso opposto, l'assimilazione del male e della falsità. Rifiutando di mangiare il cibo del re, il giovane Daniele si mostrò riluttante a partecipare ai sentimenti e ai pensieri derivanti dall'egoismo. Fu proprio questa indisponibilità a sostenerlo nel corso della sua vita, e ora, quando comincia a pregare il Signore, di nuovo digiuna.

La realtà di questo nella nostra vita è molto importante. La nostra coscienza è formata in parte da una riluttanza ad abbracciare il male, non solo una volta ma continuamente. Quando arriviamo a pentirci dei nostri peccati, questa riluttanza deve essere al centro del nostro spirito, altrimenti il nostro pentimento sarà inutile.

Ci sono molti esempi nell'Antico Testamento di persone in stato di lutto che digiunano, indossano abiti di sacco e si coprono il capo di cenere. Nel Nuovo Testamento il Signore lega il concetto di lutto con il pentimento quando dice: "Guai a te, Chorazin! Guai a te, Betsaida! Perché se le opere potenti che sono state fatte in te fossero state fatte a Tiro e a Sidone, si sarebbero pentiti molto tempo fa, seduti in saccoccia e cenere (Luca 10:13).

Era dunque del tutto conforme alle usanze dell'Antico Testamento che Daniele, nel suo dolore per la cattività del popolo, aumentasse il suo digiuno con vesti di sacco e ceneri sul capo. In senso interno, essere vestiti di sacco significa essere in lutto perché non si è stati ricettivi del bene e della verità divina (Apocalisse Spiegata 637), e così quel bene è stato distrutto (Arcana Coelestia 4779). La cenere, che veniva posta sulla testa, o a volte le persone vi si rotolavano dentro, rappresenta i falsi pensieri e le idee che una persona ha avuto a causa del male (Arcana Coelestia 7520).

Le azioni di Daniele sono profondamente simboliche di una persona che sta iniziando il processo di un serio pentimento. Digiunando, indossando tela di sacco e ceneri, egli indica il sentimento di umiltà e dolore, o contrizione, di cui abbiamo bisogno per entrare veramente nel pentimento. Mentre la contrizione è necessaria per motivarci a pentirci, bisogna stare attenti che questi intensi sentimenti di dolore per i nostri stati malvagi non dominino i nostri pensieri al punto da farci sentire che il dolore stesso è pentimento. Bisogna guardarsi dal cadere nella trappola di pensare che siamo peccatori totalmente depravati senza vedere alcun male particolare in noi stessi che può essere superato dal pentimento (La Vera Religione Cristiana 513). Il pentimento è un'attività, non un sentimento.

Daniele non si crogiola nel suo dolore, egli dirige i suoi pensieri al Signore con le parole di preghiera e di confessione. Il pentimento è un processo che inizia con un esame di sé fatto in uno stato di umiltà. Una persona che si sta pentendo ha bisogno di fare due cose dopo l'autoesame: la preghiera e la confessione. Come si portano i risultati dell'autoesame al Signore nella preghiera, così si confessano i propri peccati a Lui. La confessione "sarà che egli vede, riconosce e ammette i suoi mali, e si accorge di essere un miserabile peccatore" (La Vera Religione Cristiana 539). La persona non ha bisogno di elencare particolari episodi di peccato al Signore, perché il Signore è presente nel processo di autoesame, ma ha bisogno di avere una chiara comprensione dei peccati di cui pentirsi.

Una volta che la persona si confessa al Signore, è necessario pregare il Signore per il perdono. Anche se il Signore perdona costantemente alle persone i loro peccati, ma è necessario pregare per il perdono per il nostro bene perché ci ricorda che il perdono viene con la rimozione dei peccati, e i peccati vengono rimossi quando ci asteniamo da essi ed entriamo in una nuova vita. Dobbiamo anche ricordarci del fatto che il Signore ci perdona davvero i nostri peccati se ci pentiamo. (La Vera Religione Cristiana 539).

La preghiera di Daniele è un modello di confessione e implorazione di perdono. Egli inizia con un riconoscimento del Signore stesso. Notate la dualità dei termini nella sua apertura, "O Signore, Dio grande e meraviglioso". Come abbiamo visto prima, questa giustapposizione di due nomi si riferisce alle qualità dell'Amore Divino e della Saggezza Divina. Il nome usato per Dio in qualsiasi capitolo della Parola indica la qualità o l'aspetto di Dio presente in senso interno in quel punto. Generalmente il nome "Signore" si riferisce all'amore del Signore che opera nella vita delle persone, mentre Dio descrive la verità divina che è il veicolo che porta l'amore fino al livello in cui le persone possono riceverlo (Arcana Coelestia 2921, 2769).

Questa apertura di una preghiera può sembrare che si rivolga semplicemente al Signore, ma è molto di più. Indica che nello stato di pentimento dobbiamo tenere a mente due cose, in primo luogo, che il Signore è un Dio d'amore. Senza questa idea non ci sarebbe alcun motivo reale per pentirsi. Se il Signore fosse un Dio di rabbia o di vendetta, allora non importa quello che facciamo non potremmo mai essere riconciliati con Lui, perché nessun essere umano può mai sperare di preparare per il Signore uno stato così perfetto da placarlo. Se, invece, si vede Dio come un Dio d'amore, allora lì è permessa la qualità della misericordia, e da questo c'è speranza. In secondo luogo, usando il termine Dio, ci viene ricordato l'ordine con cui il Signore crea e governa la sua creazione. Questo ordine è iscritto dal Signore su tutte le cose, compreso il processo di pentimento. La scelta delle parole di Daniele qui non è un saluto accidentale al Supremo, ma accuratamente scelta perché ci trasmette la pienezza di Dio in uno stato di pentimento.

La presenza del Signore nel pentimento è in ordine. Daniele continua che il Signore "mantiene la sua alleanza e la sua misericordia con coloro che lo amano e con coloro che osservano i suoi comandamenti". Qui di nuovo vediamo il posizionamento di due questioni, l'alleanza e la misericordia.

L'alleanza del Signore, data prima a Noè, e ribadita ad Abramo e a molti altri dopo di lui, è semplice: se gli uomini obbediscono prospereranno, se disobbediscono periranno. Tutto l'Antico Testamento testimonia questa alleanza. Un'alleanza è un accordo tra due parti, e nell'alleanza del Signore le due parti sono Lui stesso e la razza umana. Il patto è la promessa che le persone possono essere rigenerate e quindi unite al Signore (Arcana Coelestia 665, 666). Ogni impulso verso il bene e la verità nella nostra vita testimonia questa alleanza.

Tuttavia, è anche detto nelle pagine dell'Antico Testamento, e nelle nostre stesse vite, che non sempre abbracciamo la bontà e la verità del Signore. Non siamo all'altezza del ruolo che giochiamo nell'alleanza. La natura dell'essere umano è attratta dall'egoismo e dal desiderio di dominare sugli altri. Questo è il motivo per cui finiamo prigionieri nella nostra Babilonia spirituale, dominata da Nabucodonosor e Belshazzar. Eppure nell'alleanza del Signore c'è la promessa implicita del pentimento. Se ci allontaniamo dall'egoismo, il Signore può e vuole rimettere i nostri peccati e noi saremo rinnovati. Daniele nella sua preghiera è consapevole della misericordia del Signore come fattore dell'alleanza, e si appella ad essa. Anche noi dobbiamo essere consapevoli di questo, perché ci ispira speranza e ci sprona a rifiutare il male.

Daniele continua poi con una confessione dei peccati di Israele, "abbiamo peccato e commesso iniquità, abbiamo fatto il male e ci siamo ribellati". Notate ancora la dualità della frase, peccare e commettere iniquità. "Peccare" significa "peccare, sbagliare, sbagliare la strada, sbagliare, incorrere nella colpa" (definizione Brown-Driver-Briggs n. 2398). Mentre "iniquità" significa "piegare, torcere, distorcere" (definizione Brown-Driver-Briggs n. 5753). In queste definizioni del dizionario si vede la pienezza della confessione di Daniele. Non solo il peccato veniva dalla volontà, che fa perdere la strada, sbagliare e incorrere nella colpa, ma anche dalla comprensione, poiché si piega, si torce e si distorce la verità. Si può tracciare questo processo attraverso le pagine di Daniele, specialmente nella serie storica, dove nel capitolo due si vede l'influenza del male dell'egoismo sulla comprensione e nel capitolo tre sulla volontà. Entrambi hanno bisogno di essere purificati, e quindi entrambi devono essere confessati.

Essenzialmente il "peccato" è uno stato di disgiunzione dal Signore (Arcana Coelestia 4997), è la rottura dell'alleanza del Signore e nasce negli amori di egoismo e avidità. Tutte le persone nascono con un'inclinazione al male, ma non nascono "peccatori" come comunemente si crede da coloro che propongono la dottrina del "peccato originale". Il peccato entra nella vita di una persona quando essa diventa, attraverso un'azione intenzionale, colpevole del male (Arcana Coelestia 7147), e così separati dalla vita di bontà e verità che è la base dell'alleanza del Signore.

Affinché un peccato sia un peccato, deve essere fatto intenzionalmente, o per intenzione, pur sapendo che è contrario all'insegnamento del Signore. Ci viene detto che "peccare è fare e pensare ciò che è male e falso intenzionalmente dalla volontà, perché tali cose che sono fatte intenzionalmente dalla volontà sono quelle che escono dal cuore e contaminano l'uomo, di conseguenza distruggono la vita spirituale con lui" (Arcana Coelestia 8925).

Riconoscere il peccato nella nostra vita, quindi, è il riconoscimento del fatto che ci siamo allontanati dal Signore. Abbiamo rotto l'alleanza con Lui, e possiamo essere ricondotti in comunione con Lui solo attraverso il processo di pentimento e di riforma.

In modo simile, "commettere iniquità" significa distorcere la verità. C'è un filo costante di questa distorsione che attraversa tutto Daniele, da Jehoiakim, re di Giuda che rappresenta una brama di male e un'avversione alla verità (Apocalisse Spiegata 481:4), ai maghi, astrologi, stregoni e caldei che Nabucodonosor chiamò per interpretare i suoi sogni. Questi rappresentano i processi di pensiero abituali in cui cadiamo per proteggere e migliorare i nostri stati egoistici. Ogni volta che la nostra mente non è diretta dalla coscienza, i nostri pensieri sono dominati dalla volontà egoistica, con il risultato che commettiamo l'iniquità pensando egoisticamente.

Questo tipo di riconoscimento è l'inizio del processo formale del pentimento. Come dice Daniele nella sua preghiera, "abbiamo agito male e ci siamo ribellati, anche allontanandoci dai Tuoi precetti e dai Tuoi giudizi". In queste parole egli coglie la totalità del male umano, sia per quanto riguarda la motivazione del peccato che il pensiero espressivo. Tutto il peccato, in un modo o nell'altro, è una ribellione contro Dio. Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, la caduta di Lucifero fu causata dalla sua ribellione.

Qualsiasi riconoscimento generale del peccato e dell'iniquità della vita, tuttavia, deve essere più di una semplice dichiarazione generale del male. Non fa bene alle persone ammettere semplicemente di essere peccatori senza specificare almeno un peccato. Una persona può sapere dalla Parola che è un peccatore, ma a meno che quella persona non cerchi effettivamente i suoi mali, essi rimangono come una fonte di infezione spirituale (Carità 3). Se affermiamo di essere peccatori senza auto-esplorazione, non possiamo confessarci veramente peccatori (Arcana Coelestia 8390, Nuova Gerusalemme e dottrina celeste 159) perché la nostra confessione non avrebbe alcun fondamento nell'autopercezione e sarebbe solo una confessione verbale, che può essere fatta anche da uomini malvagi quando è presente il pensiero del fuoco dell'inferno (La Vera Religione Cristiana 517).

Ne consegue quindi che Daniele evidenzia un esempio specifico di come gli ebrei avevano peccato contro Dio, che portò alla loro cattività in Babilonia. Egli disse: "Né abbiamo ascoltato i tuoi servi, i profeti, che hanno parlato nel tuo nome ai nostri re e ai nostri principi, ai nostri padri e a tutto il popolo del paese" (Daniele 9:6).

Il peccato degli antichi ebrei fu l'ignorare e disobbedire ai profeti inviati dal Signore per guidare il popolo. Re dopo re della Giudea eressero idoli, adorandoli al posto del Signore, finché alla fine il regno fu invaso, il tempio profanato e distrutto, il popolo portato in cattività o disperso. Jehoiakim, re di Giuda al tempo della cattività babilonese è un caso esemplare. Suo padre, Giosia, lesse la Parola e restaurò il tempio. Abbatté i luoghi di culto idolatri e ristabilì la Pasqua (2 Re 23, 24). Jehoiakim, ereditando il trono all'età di venticinque anni, conoscendo bene le riforme di Giosia, scelse di rifiutarle "facendo il male agli occhi del Signore, secondo tutto quello che avevano fatto i suoi padri" (2 Re 23:37). In questo modo ignorò il Signore e disobbedì ai suoi insegnamenti.

Lo stesso accade a noi. Quando l'egoismo ci controlla, ci porta a rifiutare intenzionalmente gli insegnamenti della Parola, anche se li rispettiamo a parole. Il risultato è uno stato di disobbedienza che può essere corretto solo attraverso il pentimento. Ogni alternanza di stato, quando oscilliamo dal bene al male, è un'azione di questo tipo. Come dice Daniele, non ascoltiamo i profeti del Signore.

Nel senso letterale della parola un profeta è uno che predica la verità, come fecero Elia ed Eliseo, per citarne solo due. Tuttavia, nel senso interno un profeta rappresenta l'insegnamento stesso, quindi la dottrina della Parola (Arcana Coelestia 2534). Come abbiamo visto prima, i "re" nella Parola rappresentano i principi dominanti nella nostra vita, e se questi sono falsi, allora anche tutti i nostri pensieri sussidiari, i "principi" saranno falsi.

La natura del peccato e dell'iniquità, quindi, è quella di permettere ai principi dominanti nella nostra mente, i nostri "re", e ai nostri pensieri derivati da questi, i nostri "principi", di cadere nella falsità ignorando gli insegnamenti della Parola. Quando una persona può vedere questa tendenza dentro di sé, è sulla buona strada per confessare veramente i propri peccati al Signore, non come uno stato astratto di vita, ma come episodi specifici di disobbedienza.

Parte di questo processo di riconoscimento e confessione dei peccati è l'osservanza delle conseguenze dei propri peccati. Ricorda che Daniele sta scrivendo questa preghiera in parte in risposta alla prigionia di Giuda - una prigionia risultante dalla negligenza da parte di almeno il re di Giuda di obbedire alla Parola del Signore. Questa prigionia descrive i nostri stati quando siamo tenuti prigionieri dai mali e dalle falsità che nascono nell'egoismo. Daniele poteva vedere chiaramente che la cattività storica era il risultato della disobbedienza dei re di Giuda. Possiamo vedere che i nostri mali e le loro conseguenze sono il risultato della nostra disobbedienza al Signore? Possiamo arrivare al punto in cui riconosciamo la nostra colpa al Signore con le parole di Daniele?

"Signore, a noi appartiene la vergogna della faccia, ai nostri re, ai nostri principi e ai nostri padri, perché abbiamo peccato contro di te."- Un tale grido al Signore sarebbe freddo e sterile se non ci fosse una speranza di redenzione. La storia di Daniele ci mostra, tuttavia, che c'è sempre speranza. Il tema ricorrente è che il Signore è sempre con noi, anche nei momenti più bui per portare la luce della conoscenza e un rinnovato impegno a cambiare. Nei momenti di pentimento questo è forse più importante che in qualsiasi altro momento, perché quando ci pentiamo ci impegniamo a cambiare sulla base del nostro riconoscimento degli stati di male e di falsità dentro di noi. In quei momenti dobbiamo ricordare che il Signore non porta rancore e che la forza stessa della Sua Divina Provvidenza ci sta portando verso il cielo.

La misura della misericordia del Signore è evidenziata nel concetto che quando si pecca, si pecca contro il Signore stesso (Salmi 51:4). Daniele riconosce che non ascoltando l'insegnamento dei profeti gli ebrei "non hanno obbedito alla voce del Signore nostro Dio". Questo è un ulteriore sviluppo nel riconoscimento del peccato in se stessi. Rifiutare ed essere disobbedienti all'insegnamento o alla dottrina della Parola è una cosa, perché la Parola è aperta a molte interpretazioni, può essere distorta di qua e di là per soddisfare la volontà delle persone. Il vero danno alla Parola viene, tuttavia, attraverso il motivo della distorsione. Come abbiamo visto in molti luoghi in Daniele, quando la Parola viene distorta per sostenere e proteggere amori egoistici, allora si fa danno al Signore stesso, perché Lui è la Parola stessa. Come sottolinea Daniele, i profeti sono "suoi servitori", poiché l'insegnamento è un servitore della verità stessa.

Il risultato è la disgiunzione del peccato, la rottura dell'alleanza e la separazione da tutta la bontà e la verità che ha origine nel Signore, e che è descritta nel libro del Deuteronomio come una maledizione. Ci sono troppe maledizioni da elencare, ma tutte indicano vari stati di male che colpiscono coloro che si separano dal Signore.

In Daniele i guai della cattività sono indicati come maledizioni del Signore sugli ebrei per aver disobbedito al Signore, ed è facile essere solidali con questa visione. Il male, specialmente l'egoismo, fa sì che la vita si disfi, se non in questo mondo, certamente nel prossimo. Le relazioni basate sull'egoismo non saranno mai felici, i cani in conflitto quelli la cui unica preoccupazione è se stessi. Questa infelicità e questo conflitto possono sembrare una maledizione o un disastro inviato dal Signore per punire chi fa il male, ma è una grande verità che il Signore non punisce mai nessuno per i suoi mali (Arcana Coelestia 696, 697, 1857).

Per una persona che è nel processo di pentimento questo è un pensiero necessario e confortante, perché se il Signore ci gettasse all'inferno a causa dei nostri peccati, ogni speranza sarebbe persa e la vita perderebbe il suo senso. Abbiamo bisogno di sapere che indipendentemente da quanto terribili possano sembrare i nostri mali e da quanto volentieri ci lasciamo trascinare in essi, il Signore è ancora, come dice Daniele "giusto in tutte le opere che fa, anche se non abbiamo obbedito alla sua voce".

È importante, per mantenere uno stato di equilibrio nel pentimento, ricordare le volte che il Signore ci ha aiutato nella nostra prigionia all'egoismo. Nella sua preghiera Daniele ricorda la liberazione dall'Egitto. Se prendiamo la serie storica del libro di Daniele come nostra guida, possiamo vedere la mano del Signore nel modo in cui ha condotto pazientemente e continuamente Nabucodonosor attraverso tempi terribili fino al punto finale in cui il re poteva lodare il Signore come suo Dio. Ogni dettaglio di quel viaggio si riflette nella nostra progressiva liberazione dall'egoismo e da tutti gli stati che lo accompagnano. Infine, man mano che le nostre motivazioni interiori cambiano, possiamo essere condotti allo stato raffigurato nel regno di Dario, quando a Daniele viene data la carica sul paese.

La Provvidenza non può mai essere vista in anticipo, solo a posteriori (Divina Provvidenza 178, 187). In preda alla tentazione e al pentimento sembra che il Signore ci abbia abbandonato, eppure è sempre lì per mostrarci la via verso un nuovo stato di vita.

VERSI 20-27

La meraviglia della preghiera sta nelle risposte. A volte le persone non sono sicure che il Signore ascolti la preghiera e che la preghiera possa mai far cambiare idea al Signore su qualcosa. Questo non è, o almeno non dovrebbe essere il motivo per cui preghiamo. La preghiera è per il nostro beneficio, perché concentra la nostra mente sul Signore e apre l'interno della nostra mente rendendoci possibile ricevere la Sua presenza. Le risposte alle preghiere sono raramente date in modo forte o drammatico. Più spesso la risposta si trova in una piccola e tranquilla consapevolezza della presenza del Signore. Come ci viene detto nelle dottrine, la risposta arriva come "...qualcosa come una rivelazione (che si manifesta nell'affetto di colui che prega) come speranza, consolazione, o una certa gioia interiore" (Arcana Coelestia 2535).

Daniele pregò il Signore per la salvezza di Israele, prigioniero in Babilonia per settant'anni. Pregò con profonda umiltà, con la consapevolezza dei mali degli ebrei, e la volontà di affrontare quei mali. Il Signore rispose alla sua preghiera.

Quando siamo nel processo di pentimento, anche noi abbiamo bisogno di pregare il Signore nella confessione e nella preghiera per il perdono e la misericordia. Il fatto di dire queste preghiere è potente, perché nel confessare i nostri peccati al Signore riconosciamo con umiltà di cuore che i mali della nostra vita non sono difendibili. L'azione della preghiera è, in molti modi, l'opposto e quindi l'antidoto al dominio di Nabucodonosor e Belshazzar nella nostra mente. Mentre essi sono presenti noi giustifichiamo i nostri mali, permettiamo e rendiamo attivamente possibili degli stati opposti alla presenza del Signore. Ma nella confessione questo cambia e la nostra mente si apre.

La supplica o la preghiera di misericordia fa più o meno la stessa cosa. Nei nostri stati babilonesi siamo autosufficienti - non abbiamo bisogno del Signore o della Sua Parola. Le nostre menti sono dominate attraverso gli assi della nostra volontà e comprensione proprio come la capra nel capitolo otto estendeva il potere delle sue corna ai quattro venti della terra. Aprendo le nostre menti nella preghiera, tuttavia, riconosciamo che questo potere egoistico non è il vero potere. Il vero potere appartiene al Signore che può e vuole perdonarci, e così facendo ci dà il potere di superare l'egoismo e rompere la sua presa su di noi.

Mentre Daniele pregava, divenne consapevole della risposta del Signore. Le immagini nelle sue parole ci mostrano molto su come il Signore risponde alle preghiere del cuore. Mentre pregava, divenne consapevole "dell'uomo Gabriele" che volò rapidamente e lo raggiunse all'ora dell'offerta della sera.

Nel capitolo otto abbiamo imparato che Gabriele era in realtà un'intera società di angeli (Apocalisse Spiegata 302). Gabriele rappresenta la stessa verità divina che si avvicina alla coscienza umana (Arcana Coelestia 8192). Questa è la prima parte della risposta del Signore alle nostre preghiere. Quando preghiamo chiediamo al Signore di ascoltarci. L'essenza della preghiera nelle parole di Daniele è riassunta nel versetto diciannove: "O Signore ascolta! Signore, perdona! O Signore ascolta e agisci!".

Il Signore ascolta con la Sua verità divina, e risponde con la verità, rappresentata da Gabriele che vola fino a Daniele, raggiungendolo "verso l'ora dell'offerta della sera". Come abbiamo visto molte volte in questo studio, la "sera" è uno stato di oscurità causato dalla presenza dell'egoismo che blocca la carità e quindi la fede. Quando ci pentiamo e preghiamo il Signore siamo ancora in quello stato di oscurità, eppure parte della risposta della preghiera è quella di sollevare l'oscurità e darci una visione della natura della nostra vita e una visione più chiara di come superare i nostri mali. Questo è il motivo per cui Gabriele è venuto di sera, ma notate le sue parole a Daniele: "Daniele, ora sono venuto per darti l'abilità di capire".

La risposta alle preghiere è data come "speranza, consolazione o una certa gioia interiore" (Arcana Coelestia 2535). Questi doni spirituali provengono dall'amore del Signore per tutta l'umanità, ma l'amore è sempre comunicato per mezzo della saggezza. In altre parole, non possiamo avere un sentimento di speranza se non abbiamo pensieri di speranza. Non sperimenteremo consolazione se non sappiamo che le cose andranno per il meglio. Senza il processo di pensiero, la fede se volete, non ci può essere gioia interiore, perché la gioia, o qualsiasi emozione non può esistere in un vuoto separato dai processi di pensiero.

La risposta del Signore alle preghiere di Daniele, e alle nostre, è di illuminare le tenebre nella nostra mente. Gabriele è venuto a portare "l'abilità di capire", cioè l'abilità di vedere chiaramente i mali della vita. Significa liberarsi dal potere di persuasione degli astrologi, dei maghi, degli indovini e dei caldei che avevano tanto potere su Nabucodonosor. Nella serie storica ci è stato mostrato come hanno fallito il re le cui domande potevano essere soddisfatte solo da Daniele, la nostra coscienza.

Così è per noi. Nel processo di pentimento la nostra coscienza ci porta a vedere i nostri peccati e ci spinge a confessarli al Signore. Quando lo facciamo, il Signore illumina la nostra mente. Questo ci permette di vedere diverse cose dal suo punto di vista, in primo luogo l'enormità dei nostri peccati, in secondo luogo la possibilità di rifiutarli e di essere perdonati, e in terzo luogo la speranza reale di essere liberati da essi. Tutto questo richiede "abilità per capire", e una visione sempre più chiara della verità divina.

Gabriele comincia allora a spiegare a Daniele. Egli ritorna al punto in cui Daniele iniziò la sua preghiera di pentimento - i settant'anni di cattività in Babilonia, dicendo: "Settanta settimane sono stabilite per il tuo popolo e per la tua santa città, per terminare la trasgressione, per porre fine ai peccati, per riconciliare l'iniquità, per introdurre la giustizia eterna, per sigillare la visione e la profezia e per ungere il Santissimo" (Daniele 9:24).

Come abbiamo visto all'inizio di questo capitolo "settanta settimane" significa il tempo di pienezza dall'inizio alla fine della cattività babilonese (Apocalisse Spiegata 684). Questo periodo rappresenta il costante crollo dell'egoismo nella nostra vita. Quando siamo in stati di egoismo siamo tenuti prigionieri dai "babilonesi" dentro di noi, ma con l'ascesa della coscienza al potere, quella presa viene gradualmente rotta, e il processo è descritto dalla costante ascesa al potere di Daniele. La promessa che ci viene data nel processo di pentimento, quindi, è che alla fine saremo liberati nel corso delle "settanta settimane".

A Daniele fu detto che la cattività di settanta settimane sarebbe stata sul suo popolo e sulla città della santità. Il "popolo" sono quegli stati in noi che appartengono alla chiesa (Apocalisse Spiegata 684), o, in altre parole, tutti gli stati di bontà e verità, di carità e fede che sono oppressi e tenuti in schiavitù dall'egoismo. Quando siamo egoisti è impossibile essere in stati di vera carità - non possiamo amare gli altri quando amiamo di più noi stessi, né possiamo pensare in termini di verità chiaramente quando i nostri pensieri sono offuscati dall'abituale auto giustificazione. In questi stati di prigionia spirituale, la nostra coscienza è presente, come Daniele fu presente durante l'intera cattività babilonese, per condurci ad uno stato di pentimento in cui la schiavitù può essere spezzata.

La "città della santità" con noi si riferisce al processo di pensiero basato sulle verità della Parola che ci portano alla rivolta contro l'egoismo (Apocalisse Spiegata 684). Mentre siamo nella schiavitù spirituale i nostri pensieri sono dominati dall'egoismo, ma il Signore fornisce alcune verità dalla Parola che formano la base della nostra coscienza. Queste verità sono le "città della santità" perché vengono dal Signore e rendono possibile che il Signore sia presente nella nostra mente, anche nelle nostre ore più buie. Rende anche possibile alla coscienza di svilupparsi fino al punto in cui può entrare in opposizione attiva contro l'egoismo.

Le settanta settimane "stabilite per il tuo popolo e la tua città santa" sono gli stati di vita che attraversiamo mentre viaggiamo nella nostra cattività. Una persona non può pentirsi dall'egoismo finché non vede la qualità dell'ego e la rifiuta, proprio come Nabucodonosor dovette essere portato ad un punto di follia prima di poter essere completamente restaurato, e come Belshazzar dovette essere pesato sulla bilancia e trovato carente prima di poter essere ucciso. Anche noi dobbiamo passare attraverso questo processo e lasciare che faccia il suo corso, perché è solo quando siamo commossi dall'orrore per i nostri mali, come Daniele fu commosso fino a sentirsi fisicamente male alla vista del capro, che possiamo essere condotti al vero pentimento, e allora il Signore può venire a noi in piena gloria.

Le parole di Gabriele sono tutte costruite fino a questo punto. Si deve finire la trasgressione, porre fine ai peccati e riconciliare l'iniquità, e poi il Santissimo viene unto. Nella vita del Signore stesso questo versetto significava che Egli avrebbe infine unito il Divino all'Umano attraverso il processo di glorificazione (Apocalisse Spiegata 624, 684). Ha fatto questo con continue vittorie sull'inferno dal suo proprio potere (Arcana Coelestia 2025).

Noi vinciamo l'inferno per il potere del Signore, e quando lo facciamo, entriamo negli stati di pace e tranquillità che caratterizzano il cielo, e tuttavia ciò può avvenire solo in uno stato di rifiuto totale del male e della falsità (Questo stato di rifiuto è chiamato "vastazione", e senza di esso il Signore non può essere pienamente ricevuto (Arcana Coelestia 728)).

Avendo spiegato questo a Daniele, Gabriele continua: "Sappiate dunque e comprendete che dall'emissione dell'ordine di restaurare e costruire Gerusalemme fino al Messia il Principe, ci saranno sette settimane e sessantadue settimane; la strada sarà costruita di nuovo e il muro, anche in tempi difficili" (Daniele 9:25).

Nella storia gli antichi ebrei furono liberati da Babilonia dal re Ciro. Tornarono a casa con l'intenzione di ricostruire Gerusalemme e il tempio armati della fiducia che il costo della ricostruzione sarebbe stato sostenuto dallo stato. Anche i vasi presi da Nabucodonosor sarebbero stati ripristinati al loro posto. Tuttavia, un'enorme inerzia si instaurò. Solo i più vecchi dei prigionieri potevano ricordare Gerusalemme dopo settant'anni, e molti degli ebrei erano saldamente stabiliti in Babilonia. Lo storico John Bright scrive che "i primi anni dell'impresa di restaurazione si rivelarono amaramente deludenti, portando poco se non frustrazione e scoraggiamento (Bright 1972:361, 363, 364).

Queste difficoltà iniziali si rispecchiano nelle parole di Gabriele a Daniele, secondo le quali dal dare il comando alla restaurazione del tempio alla venuta del Messia passeranno "sette settimane e sessantadue settimane". Il "partire del comando" significa la fine del tempo di preparazione. In particolare nell'analisi dell'Apocalisse Spiegata ci viene detto che queste parole significano la fine dell'Antico Testamento perché si è compiuto con la venuta del Signore. La "restaurazione ed edificazione di Gerusalemme" descrive il rinnovamento della chiesa con la venuta del Signore (Apocalisse Spiegata 684).

Nella storia della rigenerazione, questi concetti possono essere visti applicarsi all'instaurazione di un nuovo stato all'interno dell'anima umana che ha subito il processo di pentimento e che è in procinto di realizzare il suo potenziale di sviluppo di nuovi stati spirituali. Così il "partire del comando" può essere visto come il processo di pentimento, che è il vero inizio della rigenerazione, mentre la "costruzione della Gerusalemme" è lo stato finale, rigenerato, in cui i fini dell'egoismo sono stati sconfitti e si ritorna alla vera adorazione del Signore in ogni aspetto della vita.

Come nei capitoli precedenti, Gabriele fornisce a Daniele un quadro temporale per questo sviluppo. Questo non dovrebbe essere pensato come un tempo naturale, tuttavia, ma come la progressione dello stato attraverso il quale si passa tra il pentimento e la rigenerazione. La rigenerazione non nasce completamente formata nel momento in cui una persona decide di pentirsi. È un processo che dura tutta la vita e comporta il passaggio graduale da una vita orientata verso se stessi a una vita disinteressata. Per riuscirci è necessario sottoporsi ai rigori della tentazione e alla disciplina dell'auto costrizione.

Il tempo dato da Gabriele è familiare. Il tempo tra l'ordine e la costruzione di Gerusalemme è di sette settimane. Qui vediamo la ripetizione di sette, e il significato è lo stesso - il ciclo completo della vita, indicando ancora una volta che la rinascita è un processo continuo.

Più interessante, tuttavia, è la dichiarazione che "dopo sessantadue settimane sarà restaurata e costruita". Il termine "sessantadue" è usato solo in un altro posto nella Parola, in Daniele capitolo cinque, dove ci viene detto che Dario aveva sessantadue anni quando uccise Belshazzar. In quel punto abbiamo visto che sessantadue rappresenta uno stato in cui la fede si sta sviluppando, ma non ha ancora raggiunto la sua pienezza, perché "sessanta" descrive il progresso che facciamo, mentre "due" indica l'incompletezza di quel progresso.

Sottolineando questo, siamo pronti a renderci conto che mentre il pentimento è un importante passo avanti nella nostra vita spirituale, da solo non è sufficiente. Se persistiamo, tuttavia, quel pentimento si svilupperà negli stati di riforma e infine di rigenerazione, e la città Gerusalemme sarà costruita nella nostra mente.

L'angelo dice che in sessantadue settimane la "strada sarà costruita di nuovo, e il muro". Una "strada" descrive la verità dell'insegnamento della Parola (Apocalisse Spiegata 684). Questa non è semplicemente una conoscenza intellettuale di ciò che la Parola insegna, ma un'intuizione della rilevanza di quella verità per la nostra vita. Questa verità è chiaramente collegata alla coscienza che si è sviluppata nella persona nel corso della sua vita, e che ora sta arrivando a compimento nel condurre la persona al pentimento.

La nuova versione di Re Giacomo descrive qui il muro che viene costruito intorno alla città, ma nella lingua originale il termine è più propriamente tradotto come una trincea, un fossato o un fosso (Definizione Brown-Driver-Briggs #2742. Swedenborg usa il termine "fossa" che viene tradotto "fossato" o "fosso di drenaggio"). In senso interno un "fossato" rappresenta la dottrina o l'insegnamento che conduce una persona attraverso la vita. La strada e il fossato sono due lati dello stesso concetto intuitivo di verità che il Signore ci dà come risultato del pentimento e della preghiera.

Tuttavia, dovremmo anche sapere, come è stato menzionato in precedenza, che il pentimento inizia uno stato di tentazione. Non appena cominciamo a rifuggire l'egoismo, c'è una riaffermazione dell'egoismo. Il risultato è che entriamo nelle alternanze di stato descritte nelle visioni di Daniele nei capitoli sette e otto. Queste alternanze sono stati di tentazione mentre lottiamo per essere liberati dai lati malvagi della nostra personalità e rimanere collegati al bene. La città, la strada e il fossato, sarebbero quindi costruiti in "tempi difficili", il che significa che la nostra vita spirituale viene riconquistata con difficoltà.

Ci saranno anche tempi in cui "il Messia sarà tagliato fuori", un concetto simile alla visione del capitolo otto, quando si sente che il proprio progresso spirituale, descritto dall'ariete, è disperso dalla capra. Il "Messia sarà tagliato fuori" indica stati di ricaduta nell'egoismo (Apocalisse Spiegata 684), anche se all'interno di quell'egoismo c'è ancora la speranza che finché la nostra coscienza sopravvive, come Daniele nella cittadella di Shushan, ci sarà abbastanza forza per girare l'angolo ancora una volta e pentirsi.

Questa è la promessa del pentimento. Quando ci rivolgiamo al Signore nella preghiera di confessione e di ringraziamento, dobbiamo sapere che mentre le cose alla fine andranno bene, c'è ancora una strada difficile da percorrere. Tuttavia non siamo soli. Il Signore rispose alla preghiera di Daniele con onestà, e risponde alle nostre preghiere allo stesso modo. La città sarà ricostruita, ma c'è del lavoro da fare nella ricostruzione. Tuttavia, al momento del pentimento, possiamo sperimentare la speranza, la consolazione e la gioia interiore nel sapere che il Signore ha percorso questo cammino prima di noi, e con la Sua stessa forza ha combattuto e sconfitto questi stessi demoni interiori. Egli ci dà il potere di percorrere quel sentiero.

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Arcana Coelestia # 3568

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3568. 'And he said, Bring it to me, and I will eat from my son's venison' means a desire to join natural truth to itself by means of good. This is clear from the meaning of 'eating' as joining together and making one's own, dealt with in 2187, 2343, 3168, 3513 (end), and from the meaning of 'my son's venison' as truth acquired from good, dealt with in 3309, 3501, 3508. The fact that a desire is meant is self-evident.

  
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Thanks to the Swedenborg Society for the permission to use this translation.